lunedì 28 marzo 2016

Cartella Equitalia per contributi INPS: in caso di impugnazione per i soli vizi formali si applica il termine generico di venti giorni previsto per l’opposizione agli atti esecutivi (Cassazione, Sentenza n° 2647/2016)

Secondo la Cassazione, i vizi formali della cartella devono essere impugnati con l’opposizione gli atti esecutivi nel termine di venti giorni (a differenza del termine ordinario di quaranta giorni previsto dall'art. 24 D.Lgs. 46/1999 per i soli vizi di merito).

I giudici ritengono infatti che le irregolarità formali della cartella, in quanto titolo esecutivo, devono essere sollevate attraverso lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi.

A seguire il provvedimento liberamente scaricabile in PDF.



Cessata materia del contendere: il giudice deve sempre liquidare le spese sulla base del criterio della cd. "soccombenza virtuale" (Cassazione, sentenza n° 5555/2016)

Per la Suprema Corte è immotivato compensare le spese quando nel corso del giudizio siano intervenuti atti o fatti idonei a soddisfare le pretese di una delle parti.

A seguire il provvedimento liberamente scaricabile in PDF.



mercoledì 9 marzo 2016

Prescrizione quinquennale per le cartelle esattoriali Equitalia (Cassazione, Sez. VI, Ordinanza 08/10/2015 n° 20213


articolo dell' avv. Federico Marrucci


Fonte: Altalex

I giudici di Piazza Cavour – con la recente ordinanza n. 20213/15, depositata in data 08.10.2015 – hanno affrontato nuovamente la dibattuta questione circa la prescrizione da applicare ai crediti erariali (fiscali e contributivi/previdenziali), ossia se quella quinquennale [1] (art. 2948 c.c.) o decennale (art. 2946 c.c.).

Ebbene, con una motivazione estremamente concisa, la Corte di Cassazione – in questa circostanza processuale – ha “virato” verso un orientamento a favore del contribuente, stabilendo che opera la prescrizione quinquennale [2], laddove il titolo esecutivo sia unicamente costituito dalla cartella esattoriale dell’Ente di Riscossione (ad esempio Equitalia).

In particolare, la prescrizione ordinaria (decennale) “è tutta riferibile a titoli di accertamento-condanna (amministrativi o giudiziali) divenuti definitivi” (inclusi quindi, a titolo esemplificativo, gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate) e “non già invece le cartelle esattive” (ovvero quelle notificate a mente dell’art. 36bis - art. 36ter, D.P.R. n° 600/73 [3]).

In effetti, proseguono i giudici su tale aspetto, i provvedimenti esattoriali di Equitalia (ma non solo) sono “adottati in virtù di procedure che consentono di prescindere dal previo accertamento dell’esistenza del titolo” (atto di accertamento emesso direttamente dall’Ente impositivo) e pertanto le cartelle di pagamento “non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività del titolo di accertamento”.

A ciò si aggiunga – ad ogni modo – un ulteriore elemento di valutazione: al fine di rendere pacifica l’applicabilità del termine di prescrizione ordinario (dieci anni), il creditore chiamato in causa (sia l’Ente della Riscossione, sia l’Ente impositivo, come vedremo in seguito) dovrà produrre in giudizio il “titolo definitivo” della pretesa, ossia “il provvedimento amministrativo di accertamento o la sentenza passata in giudicato”, emessi “antecedentemente all’emissione delle cartelle”; in difetto opererà la prescrizione quinquennale.

lunedì 7 marzo 2016

CTU: indicazioni per una corretta fatturazione elettronica dei decreti di liquidazione posti a carico dell'INPS

Allego le indicazioni operative gentilmente predisposte e messe a disposizione dal dr. Giovanni Tavasso, Funzionario dell'INPS Napoli nonchè referente alle liquidazioni CTU.

giovedì 18 febbraio 2016

Liquidazione provvidenze economiche riconosciute in decreto di omologa ex art. 445 bis cpc senza l'invio del modello AP70

Come tutti voi saprete, il quinto comma dell'art. 445-bis cpc stabilisce che "Il decreto (di omologa, ndr), non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni entro 120 giorni".

La legge, quindi, impone la notifica del solo decreto di omolga e nulla dice in merito alla trasmissione del famigerato modello autocertificativo AP70

A maggior conferma, con Messaggio n° 20715/2013, è stato diramato un ordine di servizio nel quale si è stabilito un assoluto ed inderogabile divieto per l'INPS di procedere con la richiesta dell'autocertificazione a mezzo del  mod. AP70 in quanto l'Istituto può procedere autonomamente alla liquidazione delle provvidenze eventualmente spettanti, grazie all'accesso alle varie banche dati (fiscali, anagrafiche, etc).

Negli ultimi tempi, però, è invalsa una discutibile prassi secondo cui, nei giudizi di condanna intentati in caso di mancata liquidazione della sorta capitale nei termini di legge, alcuni giudici provvedono alla compensazione integrale dei compensi di causa, qualora il ricorrente non provi di aver inviato all'INPS, oltre al decreto di omologa, anche l'AP70.

A seguire, quindi, troverete un interessante provvedimento con cui l'agenzia INPS Costiero Vesuviana ha liquidato autonomamente la prestazione al cliente (con riserva di indebito), sollecitando il cliente solo in una fase successiva, all'invio del modello AP70

L'invito, come sempre, è quello di stamparlo ed esibirlo ai nostri cari magistrati, per far capire a quest'ultimi come l'INPS, se e quando vuole, liquida le prestazioni senza problemi, anche in mancanza dell'AP70.

Carmine Buonomo




giovedì 28 gennaio 2016

Il perfezionamento cronologico dell'invio telematico: quale ricevuta PEC rileva?



Moltissimi amici mi chiedono, giustamente, quando si intende perfezionato - per l'inviante - il deposito di un atto telematico.
Si fa il classico esempio di un atto trasmesso telematicamente l'ultimo giorno utile (con seconda PEC ovviamente ricevuta entro le 23,59) ma che, materialmente viene "aperto" dalla cancelleria diversi giorni dopo.
Da una verifica sul PST l'atto risulterà depositato non il giorno dell'invio ma soltanto il giorno dell'apertura della busta da parte della cancelleria.
Orbene, da questo punto di vista posso tranquillizzare i colleghi che la ricevuta PEC a cui si fa riferimento, ai fini della tempestività del deposito di un atto telematico, è la seconda (CONSEGNA). 

Il deposito, quindi, si considera appunto perfezionato in tale momento, seppur con effetto (così anticipato, ma) provvisorio rispetto all’ultima PEC, cioè subordinatamente al buon fine dell’intero procedimento di deposito, che è quindi a formazione progressiva.

Ovviamente questo non lo dico io, ma deriva da un'esplicita previsione normativa: Art. 16-bis, co. 7, decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221), introdotto dall’art. 1, co. 19, Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013); cfr. pure l’art. 13 DM 44/2011.
"Il deposito con modalita' telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia.Il deposito e' tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna e' generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all'articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile. Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia, il deposito degli atti o dei documenti puo' essere eseguito mediante gli invii di piu' messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito e' tempestivo quando e' eseguito entro la fine del giorno di scadenza".

Sperando di aver tranquillizzato in tal modo i più timorosi, auguro a tutti buon lavoro.

Carmine Buonomo




Pensioni, aggiornati gli importi dell'assegno sociale per gli invalidi civili



Aggiornati dall'Inps i limiti di reddito per determinare l'importo dell'assegno sociale sostitutivo delle prestazioni previste per gli invalidi civili, parziali o totali, e per i sordomuti titolari di pensione non reversibile ultrasessantacinquenni. Interessati i titolari di assegno sociale derivante da invalidità civile o di invalidità civile concessa con le regole dell'assegno sociale che non superano determinati limiti di reddito annuo sia personale che cumulato con quello del coniuge non legalmente ed effettivamente separato.

I valori sono utili per comprendere la misura dell'assegno derivante dalla trasformazione dell'assegno mensile di invalidità o della pensione di inabilità civile o della pensione speciale per i sordomuti per il raggiungimento dei 65 anni e 7 mesi oppure per quei lavoratori la cui invalidità civile sia stata accertata dopo il compimento dell'età predetta età e che, pertanto, hanno diritto direttamente all'assegno sociale.

La prestazione base quest'anno è pari a 364,90 euro al mese e può essere concessa in favore degli invalidi civili parziali il cui reddito personale annuo non superi i 4.800,38 euro o agli invalidi civili totali (e sordomuti) il cui reddito annuo non splafoni i 16.532,10 euro. 

Si tratta dei medesimi limiti reddituali previsti per ottenere la pensione di inabilità civile e per l'assegno mensile di invalidità di cui alla legge 118/1971

Ai fini della concessione della prestazione restano, come per l'invalidità civile, irrilevanti i redditi del coniuge. 

Da segnalare, inoltre, ...

venerdì 22 gennaio 2016

I lavoratori privati con una invalidità pari almeno all'80% possono conseguire la pensione di vecchiaia ad un'età ridotta rispetto alla Legge Fornero




L'ordinamento riconosce alcune particolari agevolazioni previdenziali nei confronti degli invalidi. 
Oltre alle prestazioni strettamente legate all'invalidità (si pensi ad esempio all'assegno ordinario di invalidità o alla pensione di inabilità introdotte dalla legge 222/1984 oppure alle prestazioni in favore degli invalidi civili) la Riforma Fornero ha lasciato intatti due istituti già in vigore prima del 2011 che consentono di agguantare la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata con un anticipo rispetto alla normativa generale che, com'è noto, chiede 66 anni e 3 mesi di età per la vecchiaia oppure 42 anni e 6 mesi di contributi per il trattamento anticipato (41 anni e 6 mesi le donne). 
Si tratta di due ordini di benefici non sempre conosciuti ma che è bene avere sott'occhio per non perdere un particolare sconto sull'età pensionabile che può rivelarsi prezioso. Vediamoli.


Pensione di Vecchiaia Anticipata (c.d. VO 80%)

In particolare i lavoratori con una invalidità non inferiore all'80% possono ottenere il trattamento di vecchiaia a 60 anni e 7 mesi se uomini e a 55 anni e 7 mesi se donne purchè in possesso di almeno 20 anni di contributi ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 8 del Dlgs 503/1992 (cfr: Circolare Inps 35/2012). 

Questi lavoratori dovranno inoltre attendere una finestra mobile di 12 mesi per ottenere il primo rateo pensionistico a differenza di quanto accade attualmente nella normativa generale che ha soppresso le finestre annuali. 


Il beneficio in parola risulta attivo però solo per i lavoratori dipendenti del settore privato, lavoratori iscritti cioè all'Assicurazione Generale Obbligatoria e ai fondi di previdenza sostitutivi dell'AGO (per questi ultimi si veda la Circolare Inps 82/1994), in possesso di contribuzione al 31.12.1995 (cioè che sono nel sistema misto, cfr: Circolare Inps 65/1995). Il beneficio, pertanto, non può essere esercitato dai lavoratori autonomi nè dai pubblici dipendenti (su questo ultimo punto si veda la Circolare Inpdap 16/1993).

lunedì 4 gennaio 2016

Provvidenze economiche per invalidi civili, ciechi civili e sordi: importi e limiti reddituali per il 2016


Articolo dell'amico Carlo Giacobini, 
Direttore Responsabile di HandyLex.org

Ogni anno vengono ridefiniti, collegandoli agli indicatori dell'inflazione e del costo della vita, gli importi delle pensioni, assegni e indennità che vengono erogati agli invalidi civili, ai ciechi civili e ai sordi e i relativi limiti reddituali previsti per alcune provvidenze economiche.
Per il 2016 importi delle provvidenze e limiti reddituali sono stati fissati dalla Direzione Centrale delle Prestazioni dell'INPS con Circolare 31 dicembre 2015, n. 210 (Allegato n. 4).
Come si potrà notare gli scostamenti sono nulli o minimi; ciò perchè INPS si adegua alle indicazioni del  decreto del 19 novembre 2015, emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, che  fissa nella misura dello 0,2 per cento l'aumento di perequazione automatica da attribuire alle pensioni, in via definitiva, per l'anno 2015, e nella misura dello 0,0 per cento l'aumento di perequazione automatica da attribuire alle pensioni, in via previsionale, per l'anno 2016.
Nella tabella che segue si riportando gli importi in euro, comparati con quelli del 2015 (definitivi).


Tipo di provvidenzaImportoLimite di reddito

2015201620152016
Pensione ciechi civili assoluti302,53302,5316.532,1016.532,10
Pensione ciechi civili assoluti (se ricoverati)279,47279,4716.532,1016.532,10
Pensione ciechi civili parziali279,47279,4716.532,1016.532,10
Pensione invalidi civili totali279,47279,4716.532,1016.532,10
Pensione sordi279,47279,4716.532,1016.532,10
Assegno mensile invalidi civili parziali279,47279,474.800,384.800,38
Indennità mensile frequenza minori279,47279,474.800,38 4.800,38
Indennità accompagnamento ciechi civili assoluti880,70899,38NessunoNessuno
Indennità accompagnamento invalidi civili totali507,49512,34NessunoNessuno
Indennità comunicazione sordi252,20254,39NessunoNessuno
Indennità speciale ciechi ventesimisti203,15206,59NessunoNessuno
Lavoratori con drepanocitosi o talassemia major502,39502,39NessunoNessuno

martedì 29 dicembre 2015

Il CTU può chiedere il pagamento a ciascuna delle parti, anche se il Giudice dispone l'onere solamente ad una di queste (Cassazione, sentenza n° 23133/15)


Fonte: GiuriCivile


Con la sentenza n. 23133 del 12 novembre 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che le spese di CTU sono a carico di tutte le parti, a prescindere dalla soccombenza nel giudizio.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, infatti, la CTU rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma un ausilio per il giudice: è, quindi, un atto necessario del processo “che l’ausiliare pone in essere nell’interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale“.

Ne consegue che le modalità di pagamento dei compensi del consulente tecnico prescindono dalla ripartizione dell’onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza. 

Le parti sono pertanto solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza – sia definitiva sia non ancora passata in giudicato – a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita.

sabato 26 dicembre 2015

Pensione di inabilità, in assenza dei requisiti il giudice può concedere l’assegno di invalidità civile (Cassazione, Sentenza n° 17452/2014)

In assenza dei presupposti per il riconoscimento della pensione di inabilità civile, il giudice può comunque riconoscere al ricorrente l’assegno mensile di invalidità, «per l’implicita inclusione di questo, in quanto beneficio minore, in quello maggiore espressamente domandato».
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17452 del 31 luglio 2014, bocciando il ricorso dell’Inps.
IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro (che ne aveva rigettato la domanda, nel contraddittorio con l’Inps e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il riconoscimento dello status di invalida al 100% con necessità di assistenza continua, per difetto di prova del requisito della iscrizione nelle liste speciali di collocamento al lavoro), accertava il diritto della ricorrente all’assegno di invalidità civile, condannandone l’Inps all’erogazione con decorrenza dal 20 marzo 2007, con maggiorazione per interessi legali dei ratei maturati da ogni singola scadenza.
A motivo della sentenza, la Corte riteneva la sussistenza del requisito di riconosciuta ed incontestata invalidità civile al 76% dal 10 maggio 2004, di quello reddituale dal 2005 e, infine, di quello di iscrizione alle liste speciali dal 20 marzo 2007, ravvisando l’ammissibilità della produzione di quest’ultimo documento, in quanto sopravvenuto alla decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’Inps, per avere la Corte territoriale...

lunedì 21 dicembre 2015

Pignoramento pensione e stipendio: differenze


Articolo dell'avv. Matteo Mami (sito web)

La Corte Costituzionale con sentenza del 21.10.2015 n. 248 (depositata il 03.12.2015) ha stabilito che il pignoramento di stipendio basso, anche se inferiore all’ammontare dell’assegno sociale, è consentito con il solo limite del quinto del suo ammontare.

Quindi, ad esempio, se il debitore ha uno stipendio di € 500,00 gli possono pignorare fino ad € 100,00 al mese, fino ad estinzione del debito.

Il pignoramento di stipendio basso, pertanto, è consentito, a differenza di quanto previsto per il pignoramento di pensione che risulta impignorabile per la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato.

L’art. 545, quarto comma, c.p.c. prevede che le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, sono pignorabili nella misura del “quinto” mentre, qualora concorrano più cause tra quelle indicate dall’art. 545 cod. proc. civ., il quinto comma, prevede che il pignoramento può estendersi sino alla metà.

Per quel che riguarda gli emolumenti da pensione, invece, fin dalla pronuncia n. 506 del 2002 l’orientamento della Corte Costituzionale era nel senso che, fermo restando il limite del quinto del percepito, doveva essere sottratta al regime di pignorabilità la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato.

Con la predetta pronuncia la Consulta affermava, altresì, la non assimilabilità del regime dei crediti pensionistici a quelli di lavoro e che l’individuazione dell’ammontare della parte di pensione idonea ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita rimaneva riservata, “nei limiti di ragione”, alla discrezionalità del legislatore.

Per lungo tempo il legislatore non è intervenuto sulla materia e la giurisprudenza si vedeva costretta a sopperire ad una tale mancanza andando ad individuare il limite di impignorabilità delle pensioni nella misura dell’ammontare dell’assegno sociale.

domenica 20 dicembre 2015

La pensione di inabilità può essere convertita in assegno sociale, anche se non fruita: Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25204/2015



Corte di Cassazione, Sezioni Unite
sentenza 3 novembre – 15 dicembre 2015, n. 25204 
Presidente Roselli – Relatore Nobile 

Svolgimento del processo 

Con sentenza n. 230/2011 il Giudice del lavoro del Tribunale di Pisa, in accoglimento della domanda proposta da V.A.M. nei confronti dell’INPS, dichiarava il diritto della V. a beneficiare, a decorrere dal 1-8-2009, della pensione sociale (recte: “assegno sociale”, v. art. 3 legge n. 335/1995 – così intendendosi, indubbiamente, la detta pronuncia -) in sostituzione della pensione di inabilità ai sensi dell’art. 19 della legge n. 118 del 1971. 
L’INPS proponeva appello avverso la detta sentenza) lamentando che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che la V. (che aveva presentato la domanda amministrativa in data 28-7-2009, un giorno prima del compimento del 65^ anno di età) avesse maturato il diritto alla pensione di inabilità in data antecedente al 1-8-2009, presupposto indefettibile per accedere al beneficio della “sostituzione”, di cui all’invocato art. 19. La V. si costituiva tardivamente e resisteva al gravame. 
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 16-1-2013, in accoglimento dell’appello dell’Istituto rigettava la originaria domanda. 
In sintesi la Corte territoriale affermava che la V. , nata il 29-7-1944, a prescindere dall’età anagrafica alla data della domanda amministrativa, aveva già compiuto il sessantacinquesimo anno di età alla data di decorrenza del beneficio preteso (il primo giorno cioè del mese successivo alla presentazione della domanda) ragion per cui, non avendo conseguito, alla data del 1-8-2009, in difetto del predetto requisito anagrafico, il trattamento pensionistico spettante agli infrasessantacinquenni, non poteva beneficiare neppure della pensione (recte: “assegno”) sociale in sostituzione di tale trattamento. 
Per la cassazione di tale sentenza la V. ha proposto ricorso con un unico motivo, dolendosi che la Corte di merito, in difformità dall’insegnamento di Cass. 24-3-2009 n. 7043, non avesse distinto il momento di maturazione del diritto da quello di decorrenza della prestazione monetaria. 
L’INPS ha resistito con controricorso. 
La Sesta Sezione di questa Corte, innanzi alla quale la causa è stata dapprima chiamata, con ordinanza interlocutoria n. 18159/2014 l’ha rimessa alla pubblica udienza della Sezione Lavoro, in difetto di una giurisprudenza unitaria sulla questione oggetto del giudizio. 
La Sezione Lavoro con ordinanza n. 2562/2015 ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite rilevando che “il delineato contrasto, seppure formatosi sull’indicata specifica fattispecie, investe una questione di massima di particolare importanza, essendo pertinente, anche in termini generali, all’individuazione del momento in cui deve essere riconosciuta l’insorgenza del diritto alle prestazioni assistenziali”. 
La causa è stata quindi rimessa dinanzi a queste Sezioni Unite Civili. 
Infine l’INPS ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. 

Motivi della decisione 

giovedì 10 dicembre 2015

Modello di sollecito all'Agenzia Entrate per la registrazione di atti giudiziari


In considerazione sia della lentezza con cui l'Agenzia delle Entrate provvede a caricare gli atti giudiziari sul proprio portale web (al fine di consentire il versamento della relativa tassa di registrazione) ma anche dell'esigenza di provvedere con una certa celerità all'incombente, onde evitare di anticipare il pagamento per poi dover agire nei confronti del coobbligato in solido, allego il relativo modello di sollecito, da inviare a mezzo email/pec all'Ufficio di competenza.
Un altro post sull'argomento lo troverete QUI
Carmine Buonomo

lunedì 7 dicembre 2015

Ammissibile la revocazione del Decreto di omologa ex art. 445 bis cpc(Tribunale Napoli, Sentenza n° 9801/2015)


Posto un interessantissimo precedente giurisprudenziale, gentilmente messo a disposizione dall'amico e collega avv. Massimo Mazzucchiello.
La peculiarità del provvedimento è rinvenibile nella circostanza che, per la prima volta, si stabilisce in modo fermo l'ammissibilità dello strumento della revocazione per errore di fatto (ex co. 4, art. 395 cpc) ai Decreti di omologa emessi a seguito di ATPO.
Opinabile, ad avviso dello scrivente, solo la motivazione secondo cui "la controvertibilità del rimedio proposto determina la compensazione delle spese del giudizio", quasi come se - nel caso concreto - l'attività difensiva materialmente posta in essere fosse stata meno "impegnativa" di quella teoriamente profusa in altri tipi di giudizio.

mercoledì 2 dicembre 2015

Indebito Inps: come opporsi alle richieste di restituzione (intervista avv. Carmine Buonomo)


https://player.vimeo.com/video/147299233

Clicca sull'immagine per visualizzare l'intervista

Sono frequenti negli ultimi tempi le richieste che l’Inps sta facendo ai pensionati, relative ad indebiti assistenziali e previdenziali.

Occorre innanzi tutto rivolgersi ad un avvocato esperto in materia previdenziale affinchè possa valutare la possibilità o meno di contestare una richiesta di indebito. 

A questo punto vanno fatte alcune considerazioni preliminari.

Innanzitutto occorre chiarire che le richieste di indebito sono soggette a prescrizione decennale, ossia l’Inps ha 10 anni di tempo per poter richiedere al cittadino la restituzione di somme indebitamente percepite. 



Fa eccezione al regime di prescrizione decennale solo la richiesta contributiva per cui l’Inps ha cinque anni di tempo (e piú precisamente 5 anni e 1/2) per poter richiedere il pagamento di contributi non versati.

Altro punto da valutare sono le richieste di restituzione per indebiti reddituali. 

La normativa attuale prevede che l’Inps paghi le prestazioni per l’anno in corso e l’anno seguente provveda a richiedere i dati reddituali e sulla base degli stessi, procede ad un conguaglio. 

Sovente però capita che l’Inps, dopo tale comunicazione, provvede a chiedere la restituzione di somme, anche ingenti. 

Dunque, per evitare che tali richieste di restituzione pervengano dopo un numero di anni spropositati, una legge del 1991 ha previsto che l’Inps, salvo il dolo del percipiente, ha solo un anno di tempo, dalla ricezione dei dati reddituali, per poter richiedere indietro le somme indebitamente erogate.

Infine, un altro punto importante da tenere in considerazione in presenza di una richiesta di indebito Inps, riguarda l’onere della prova nei giudizi di opposizione. 

Infatti, fino al 2008 la giurisprudenza dominante riteneva che nei giudizi di opposizione dovesse essere l’Inps a provare i fatti costitutivi della propria pretesa. 

Nel 2010 la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SSUU, sent. n° 18046/2010) ha invece stabilito che non dev’essere più l’Istituto a provare i fatti costitutivi ma il cittadino. 

Tuttavia, bisogna segnalare un'interessantissima pronuncia della Cassazione, la n. 198 del 2011, in cui la Corte ha ritenuto che, sebbene sia il cittadino a dover provare la legittimità delle somme che ha percepito, l’Inps deve porlo in condizione di potersi difendere. 

Ne deriva che sono illegittime tutte quelle richieste avanzate dall’Istituto che mancano di dati contabili o in ogni caso di qualsiasi riferimento logico/matematico per poter valutare la bontà della richiesta.